L’uomo e le stelle nelle religioni moderne

Sin dai tempi più remoti gli uomini hanno spinto lo sguardo verso l’imperturbabile volta celeste e vi hanno visto la costruzione logica dell’universo secondo criteri matematici. Una logica che non poteva essere casuale, e che venne perciò riconosciuta come un disegno divino attraverso cui comprendere la condizione umana e i segreti della vita. Ecco perché nel passato, un fenomeno affascinante come quello di una cometa o una di una supernova era considerato presagio di sventura, dato che questi corpi celesti non erano presenti normalmente e quotidianamente nella volta celeste, turbavano l’ordine naturale dell’universo.

L’uomo ha costruito per millenni superstizioni e religioni osservando le stelle, ha compreso alcuni segreti della natura e li ha utilizzati per 13.000 anni nella programmazione dell’agricoltura, attività principale dell’uomo fino all’industrializzazione. Conoscenze che oggi sono andate perdute poiché la rivoluzione industriale e la modernizzazione stessa dell’agricoltura hanno reso obsoleti i processi di semina e di trapianto osservando il ciclo lunare e le costellazioni, tanto che oggi gli stessi contadini confondono la luna “calante” con la luna “discendente”.

LE MACRO-CIVILTA’

Studiando questa visione antica possiamo comprendere le enormi differenze odierne che dividono due grandi aree di civiltà. Senza dividere nei dettagli le varie culture, ma considerando solo gli aspetti più comuni tra loro, sappiamo separare attraverso delle grandi porzioni del pianeta le aree dove nacquero le due macro-civiltà che oggi si dividono il mondo. Quella indoeuropea e quella dell’estremo oriente. Sia ben inteso che nei secoli passati vi erano altre due macro-civiltà: una in Africa e l’altra nell’America pre-colombiana, ma come sappiamo, queste sono state distrutte dalla civiltà indoeuropea. Quest’ultima non ha preservato nulla delle civiltà che ha assoggettato, poiché tra tutte le macro-civiltà che esistevano e che esistono è quella in cui risiede uno spirito preminente di conquista, di assoggettamento dei popoli ai dogmi e ai canoni di quello che oggi chiamiamo Occidente.

macrocivilta-aree

Certamente riconducibile al passato più remoto, la divisione tra il mondo cinese e quello indoeuropeo è dovuta a motivazioni geografiche: la catena dell’Himalaya e la steppa siberiana. Anche se i popoli sono sempre rimasti in collegamento diretto e indiretto tramite il commercio, lo scambio culturale non è stato sufficiente ad impedire la nascita di due filoni principali di visione del mondo. Chi contesta questo fatto non tiene conto di un dato che effettivamente lo dimostra. Quando Marco Polo tornò dalla Cina fu accusato di turbare l’ordine dell’universo in quanto mostrava costellazioni mai viste. In realtà il cielo osservato da Polo nel Catai (Cina) era lo stesso visto dagli europei poiché entrambi i paesi risiedono nell’emisfero boreale, eppure questo mostra come l’astronomia cinese si sia evoluta in maniera autonoma rispetto alla nostra, e così tutta la cultura.

Lo zodiaco di Dendera

Lo zodiaco di Dendera

Per greci, babilonesi, egizi e indiani le costellazioni dello zodiaco ancora in uso erano comuni, indice che quei popoli erano in comunicazione tra loro (anche se non direttamente). Abbiamo asserito che l’astronomia e l’astrologia fossero uno dei primi approcci dell’uomo alla cultura. Da esse nacquero o furono influenzate la matematica, la medicina, la religione e la filosofia. Scienze evolute in maniera autonoma per ognuno dei due blocchi.

La differenza tra le macro-civiltà sta scomparendo a causa del fenomeno della globalizzazione capitalista, e ciò che preoccupa è la velocità con cui ciò avviene. Se pensiamo che le due civiltà si sono evolute in migliaia di anni, capiamo il peso storico della globalizzazione che sta annichilendo questa differenza in un lasso di tempo che coinvolge poche generazioni.

Anche la stessa filosofia e il modo di concepire il mondo e la vita sono differenti per le une e per le altre macro-civiltà. Ognuna delle due civiltà ha costruito degli archetipi attraverso cui l’individuo comprende e giustifica la società in cui vive. Nei primi del ‘900 i padri della psicanalisi Carl Gustav Jung e Sigmund Freud cercarono questi archetipi proprio nella nascita delle grandi civiltà. I principali archetipi attraverso cui le popolazioni si affacciano alla comprensione del mondo sono raggruppabili in una semplice spiegazione.

In occidente la filosofia dominante che riecheggia in quasi tutte le religioni indoeuropee è la dicotomia tra Bene e Male. È una civiltà fortemente dogmatica, dove vigono regole morali ben precise a cui tutti devono attenersi perché l’ordine sia rispettato. Il bene deve dominare sul male, perciò ogni cosa che culturalmente viene identificata con l’ingiustizia, nel contesto socio-culturale del momento e del luogo, deve essere annientata. Perciò le crociate per gli uni e la jihad per gli altri sono un buon motivo di intervento, così l’esportazione della democrazia ecc. Ognuna delle piccole civiltà, sulla base di questa logica più ampia, impedisce all’individuo sociale di comprendere le altre civiltà. L’individuo non riesce a immaginare una società diversa da quella in cui vive. Ecco perché la mentalità di conquista è tipica dell’occidente, non solo al fine di sottomettere, ma soprattutto allo scopo di trasformare le altre società in un modello confacente ai dogmi occidentali.

In oriente non è esattamente questo ciò che viene concepito dalla filosofia. Esistono dei dogmi che danno importanza alla vita e alle scelte che essa comporta, ma non esiste la dicotomia tra bene e male, anzi essi fanno parte entrambi del mondo e in alcuni casi sono complementari, non per forza opposti in maniera polare. Con un detto semplice potremmo dire che non tutto è sempre bianco e non tutto è sempre nero. Bene e male coesistono in una sorta di equilibrio. E’ il principio taoista dello Yin e dello Yang,yin yang dove tutto il mondo si manifesta in queste due forme, opposte tra loro ma non in maniera assoluta. Ogni cosa non è completamente yin o completamente yang, ma contiene un seme dell’altro. Le religioni stesse non sono esattamente quell’istituzione che è in occidente, dove la religione spesso era o è intesa come l’istituzione fondante su cui perpetua la società. Esse sono viste quasi come uno stile di vita, un insegnamento a conoscere l’essenza dell’armonia dell’individuo con ciò che lo circonda.

LE ERE ASTROLOGICHE

Fatta questa lunga premessa ci addentriamo ora nella civiltà indoeuropea e cerchiamo di vedere le comuni radici di antiche popolazioni che ci hanno tramandato nei millenni delle caratteristiche che in alcuni casi sono tuttora presenti nelle religioni moderne. Sveliamo un lato storicamente affascinante e poco conosciuto di ognuna di esse. Per farlo dobbiamo prima conoscere alcuni aspetti di astronomia con un’analisi scientifica di alcuni effetti ben noti agli antichi.

Lo zodiaco tradizionale riunisce 12 costellazioni (anche se per gli antichi in certi casi veniva considerata una 13^ costellazione, quella dell’Ofiuco). Tra le decine di costellazioni presenti, queste dodici non sono state scelte per caso. Durante l’anno transita in esse la posizione del sole e della luna. Per la luna questo percorso determina la fase ascendente e quella discendente (che avviene ciclicamente ogni mese circa), per il sole invece, questo è determinato dal moto di rivoluzione della terra attorno al sole. Nelle varie fasi dell’anno traguardando il sole noteremo che visto dalla terra esso si trova davanti ad una costellazione (che sarà impossibile vedere per la luce del sole stesso), determinando così il periodo astrologico di quella costellazione (il sole è in acquario, quindi il periodo dell’anno è identificato con quel segno zodiacale).zodiaco_01

Compreso questo dobbiamo capire che i periodi astrologici dell’anno subiscono variazioni nel corso dei millenni. E questo accade a causa della lenta rotazione dell’asse terrestre in “precessione” (movimento simile a quello di una trottola) che sposta la nostra visione dell’arco celeste a seconda dell’inclinazione del nostro pianeta.

precessione-equinoziLa fascia anulare della terra corrispondente con la cintura dell’equatore, subisce la forza gravitazionale del sole in maniera quasi impercettibilmente maggiore sulla parte illuminata (di pochissimo più vicina al sole rispetto alla parte adombrata). Questa lieve differenza agisce sull’inclinazione dell’asse terrestre con un effetto leva determinandone lo strano movimento a trottola. Questo movimento però non è esattamente circolare perché la forza gravitazionale della luna agisce, seppur con un solo 5,6‰ rispetto a quella del sole, determinando il fenomeno oscillatorio della nutazione.

La precessione della terra è un fenomeno così lento che per compiere un ciclo completo devono passare quasi 26.000 anni. Capito questo meccanismo è subito compreso che la nostra Polaris, più nota come stella polare, presa a riferimento come indicatore del nord trovandosi sulla linea retta dell’asse terrestre, non è sempre stata in quella posizione privilegiata. Furono i greci a capire che nel corso di pochi secoli qualcosa era cambiato. Osservando proprio la posizione di quella che per l’epoca era considerata la stella polare, un grande pensatore greco capì che l’asse si spostava, e sapendo che tutto quello che osservava faceva parte di un processo matematico, Platone intuì che anche queste discrepanze dovevano far parte di un ciclo complesso che poi sarebbe giunto a richiudersi e ripetersi come ogni fenomeno astronomico legato a regole matematiche. Ecco perché questo lungo ciclo di 26.000 anni è detto “anno platonico”.

Durante questo ciclo, si osserva lo spostamento delle stagioni. Ed è facile arrivare ad una intuizione. Quando in Italia è inverno, e precisamente nel solstizio d’inverno, la terra è in una posizione fisica della sua rivoluzione attorno al sole, e il suo asse terrestre ha un’inclinazione per cui tutto ciò che è al di sopra del circolo polare artico rimane in ombra. 13.000 anni dopo, trovandosi nuovamente nel punto fisico della rivoluzione, la terra avrà un’inclinazione completamente opposta. Per cui non sarà il solstizio d’inverno, ma quello d’estate (le stagioni si sposteranno esattamente di sei mesi).

eclittica

Osservando il fenomeno dal punto di vista “geocentrico” rispetto alla volta celeste dove figurano le costellazioni, possiamo osservare l’eclittica (la posizione del sole nel corso dell’anno visto dalla terra) e la linea equatoriale che cambia a seconda dell’inclinazione dell’asse terrestre. Quando la linea dell’equatore interseca l’eclittica, ovvero quando il sole è perpendicolare all’equatore, ci troviamo in equinozio (di primavera ed autunno). Osservando attentamente il primo disegno di questo capitoletto notiamo che dal punto di vista dell’osservatore sulla terra, il 21 marzo (equinozio di primavera) il sole si trova di fronte alla costellazione dei pesci; teniamolo ben presente perché ci tornerà utile in seguito.

Dato che abbiamo compreso che la linea dell’eclittica solare non muta nel tempo, mentre si sposta quella dell’equatore celeste a seguito del movimento a trottola, sappiamo che in 26.000 anni di ciclo, anche l’intersezione degli equinozi si sposta. L’astronomia infatti descrive il fenomeno come “precessione degli equinozi” e afferma che ogni anno l’equinozio viene anticipato di 20 minuti. Conoscendo questo assunto, scopriamo che nel corso dei millenni osservando il sole nel giorno dell’equinozio, questi attraverserà pian piano tutte le costellazioni dello zodiaco stazionando in ognuna di esse per una media di 2000 anni ciascuna. Ognuno di questi lunghi periodi è detto Era Astrologica.

L’INFLUSSO DELLA PRECESSIONE DEGLI EQUINOZI SULLA STORIA

Abbiamo capito che nel nostro periodo storico durante l’equinozio il sole è nella costellazione dei pesci, perciò l’era astrologica in cui ci troviamo è detta dei pesci. Ora non ci facciamo caso, poiché l’astrologia non è più considerata una scienza e quindi non influenza più le scelte politiche e le filosofie, ma in passato queste ere hanno determinato alcune caratteristiche delle culture indoeuropee.

Non di tutte le ere passate abbiamo traccia evidente. Quelle che ben conosciamo riguardano le ultime tre, sia perché sono pochissimi i monumenti più antichi, sia perché la scrittura è nata solo attorno al 3.200 a.C. Stabilendo la grande era astrologica del toro in un periodo compreso tra il 4000 a.C. e il 1800 a.C., rileviamo in tutto il mondo indoeuropeo l’influenza di questo grande aspetto astrologico che ha portato la figura del toro ad avere un ruolo preminente nelle culture e nelle religioni. È questo il periodo in cui i sacerdoti studiano le stelle e l’astrologia entra a servizio dell’agricoltura, il toro è un segno di terra, si programmano le semine, i raccolti e le irrigazioni, si usano gli astri per imbrigliare le forze della natura ed utilizzarle a vantaggio dell’uomo senza esserne passivamente vittima. Dalla civiltà minoica dell’isola di Creta a quella micenea si hanno numerose testimonianze relative al culto del toro in affreschi, bassorilievi, vasi, armature, e conosciamo le usanze della tauromachia, e la figura del minotauro. La tauromachia era caratteristica culturale di etruschi, sardi e popolazioni dell’odierna Spagna da cui probabilmente derivano tradizioni come la corrida o la festa di S. Firmino a Pamplona.toro

Nell’India è questo il periodo in cui Shiva viene rappresentato a dorso di un toro, mentre nei Veda scritti in sanscrito e appartenenti alla tradizione dei popoli Arii che invasero l’India 4mila anni fa, le divinità si distinguono in due grandi anime, gli Asura originati da Varuna (il cielo) e dal suo occhio Mitra (il sole), e gli Deva originati da Dyaus Pitar (padre cielo) identificato col toro e da Prithivi Matar (madre terra) identificata con la vacca. Il culto del mitraismo si diffonde poi in Persia e in tauroctoniaEgitto e si evolve nei secoli influenzando moltissimo le religioni moderne, come vedremo nel capitolo successivo. Ed è col mitraismo nei secoli successivi alla fine dell’era del toro che si celebra la tauroctonia quando Mitra uccide il toro sacro sgozzandolo con una spada. In ogni tempio romano a lui dedicato era rappresentata una scena della tauroctonia e spesso veniva posto uno scorpione ad attaccare i testicoli del toro (la costellazione dello scorpione è polarmente opposta  a quella del toro). Negli egizi il toro rappresenta il dio Api e spesso il toro è rappresentato nelle steli egizie sopra lo scorpione, suo segno polare.

Attorno al 1800 a.C. subentra l’era dell’ariete, in Egitto il dio Api viene sostituito con la venerazione di un montone (Amon-Ra), divenuto per i romani il dio Ammone. Non dimentichiamo che l’ariete è un simbolo di fuoco, e che per testimoniare il passaggio dall’era del toro a quella dell’ariete nell’induismo, Visnù si reincarna nel dio Agni, divinità del fuoco. Per i sacerdoti indiani di questo periodo le corna di ariete rappresentano il simbolo del clero, così come avviene contemporaneamente in Egitto. Nello stesso periodo troviamo un’ennesima incarnazione di Visnù nel dio Rama che attribuisce a se stesso il simbolo dell’ariete. Anche Shiva viene identificato come un ariete che è «capo del gregge umano». L’effige di Alessandro Magno su alcune monete viene ritratta con le corna di ariete, egli infatti ha la pretesa di giustificare la sua diretta discendenza con Zeus, cosa confermata anche all’oracolo di Siwa in Egitto dove i sacerdoti lo confermano faraone e figlio di Amon-Ra.

Nella Torah ebraica il passaggio tra l’era del toro e l’era dell’ariete si evince dall’esegesi astrologica del libro dell’Esodo. La figura di Mosè è sacra a musulmani, ebrei e cristiani. Mosè conduce gli ebrei fuori dall’Egitto e questo episodio viene celebrato con la Pasqua (dall’aramaico Pesach, che significa PASSAGGIO), ma Dio non si è ancora rivelato loro con la formula “io sono colui che è”. Quando Mosè salì sul monte Sinai, gli ebrei che lo attesero per un lungo periodo, non avevano accettato ancora la figura di un dio impersonale, perciò chiesero ad Aronne di dare loro un dio che li condusse oltre il deserto ed egli costruì un vitello d’oro. Quando Mosè tornò dal popolo d’Israele fece uccidere coloro che adoravano l’idolo taurino e consegnò loro le tavole della legge. A seguito di questo fatto Mosè ordinò ad Aronne di prendere un ariete e di immolarlo perché fosse consacrato come sommo sacerdote col sangue dell’animale sacrificato.

L’era dell’ariete termina circa attorno all’anno 0, quando “l’agnello di Dio” Gesù Cristo viene immolato sulla croce dando così inizio all’era dei pesci. O meglio, oggi sappiamo che molto probabilmente Gesù di Nazareth nacque qualche anno prima dell’anno 0. A porlo in quella data (presa a riferimento storico da tutto il mondo) furono i romani che consideravano quell’anno la fine astrologica dell’era dell’ariete. Per le credenze dell’epoca il cambio di un’era doveva assolutamente portare con se un avvenimento eclatante, e la venuta del Messiah fu la risposta al quesito. L’agnello/Cristo che si circonda di dodici apostoli, buona parte dei quali pescatori, che li avvia alla pesca miracolosa, per non parlare della moltiplicazione dei pani e dei pesci, porta con sé una nuova tradizione. Il dio di fuoco dell’ariete, del roveto ardente, dei castighi di fuoco, cede il passo ad un ixthus_0Dio misericordioso e “pescatore” di anime. Indiscusso è il simbolo dei pesci, diffusissimo nelle catacombe dei primissimi cristiani perseguitati in cui veniva inscritto l’acronimo greco ΙΧΘΥΣ (IXTHUS) di Iησους Xριστος Θεου Υιος Σωτηρ (Gesù  Cristo, Figlio di Dio, Salvatore), poiché in greco ixthus significa anche pesce. L’era dei pesci è sinonimo dell’era cristiana, che per gli antichi avrebbe avuto un termine con l’avvento dell’armageddon, quando sarebbe arrivata la resa dei conti. E rieccola quella grande dicotomia iniziale, il bene e il male. Chissà se chi concepì l’Apocalisse, non intendesse proprio la fine dell’era dei pesci, quando l’intero ciclo plurimillenario dell’anno platonico si sarebbe chiuso. Secondo la concezione media della sequenza delle ere astrologiche questo momento cadrà pressappoco attorno al 2150 d.C. Ma per alcuni questo passaggio varia di secoli, a seconda di dove viene collocato il confine immaginario tra le costellazioni, ad esempio per i Maya la fine dell’anno platonico e l’ingresso nell’era dell’acquario doveva avvenire nel 2012. In qualunque anno avvenga, sarà allora che si ricomincerà un ciclo nuovo con l’era dell’acquario (primo segno dello zodiaco). Chi utilizzava l’astrologia per comprendere il volere divino forse pensava che in quell’era avremmo avuto la pace e la concordia, ma conoscendo il vero volto dell’uomo, penso di dover affermare che serviranno molti secoli prima che ciò avvenga.

IL CULTO DEL SOLE HA IMPOSTO IL MONOTEISMO

Il sole è il corpo celeste più luminoso, condiziona più di ogni altro l’agricoltura e la vita. Nell’ottica di una cultura fortemente condizionata dall’astrologia non poteva che avere un’attenzione privilegiata. Così in qualsiasi religione, dalle Ande all’Arabia, il sole ha finito per essere identificato come il signore indiscusso del pantheon divino, superiore agli altri dei (enoteismo), per poi soppiantarli condizionando quello che diverrà in seguito il monoteismo.

Perfino in Cina, Indonesia, Africa, Australia e nelle Americhe antiche tradizioni rimandano al culto del sole. Ma quella che più di ogni altra ha influenzato le credenze e le tradizioni nei millenni è la divinità proto-indoiranica Mitra. Il culto del mitraismo nasce in India come precedentemente descritto, solo in seguito si diffonde in Persia e in Egitto. Nel primo caso assume diverse caratteristiche nel corso dei secoli inseredosi nello zoroastrismo. Una religione a cui aderiscono ancora 500 mila fedeli (appartengono principalmente all’etnia Parsi) che viene identificata anche col nome di mazdeismo. Fu la religione più diffusa di tutta l’Asia fino alla comparsa dell’Islam e per molti aspetti racchiude alcuni elementi che ritroviamo nel cristianesimo e che si incrociano con esso. Ad esempio secondo molti studiosi, i magi che portarono doni a Gesù erano mazdei. I mazdei professavano una religione secondo cui Ahura Mazda era il signore supremo, e identificato con la luce e con il fuoco. Egli agisce tramite Spenta Mainyu (in avestico “santo spirito”) di cui è padre, i sei amesha spenta, “santi immortali”, sorta di arcangeli, e gli yavata (venerabili), analoghi agli angeli minori, fra cui Mitra è il più importante. Il nemico di Ahura Mazda è Angra Mainyu, (spirito malvagio), dio del male, della menzogna, delle tenebre e dell’impurità. Secondo l’Avesta (libro sacro) l’era finale, in cui il Bene e il Male saranno separati e il Bene vincerà sul Male, grazie all’intervento di un Saoshyant (“Salvatore”), nato da una vergine della genia del profeta Zoroastro, che risorgerà dalla morte per essere giudice nel Giudizio Finale. Gli zoroastriani considerano l’anima la parte importante a differenza della carne. Essi non osano seppellire i morti né bruciarli, per non intaccare la purezza della terra e del fuoco dove risiede Ahura Mazda, e credono nella resurrezione dell’anima dopo 3 giorni dalla morte. Ciro il Grande (re di Persia di stirpe achemenide) pur essendo zoroastriano riconobbe il Dio di Israele come “il Signore del Cielo”, come per dire che era la stessa cosa di Ahura Mazda. Fu proprio lui a lasciare libero il popolo ebraico che viveva in Persia dalla deportazione di Nabucodonosor II in quello che passò alla storia come “la cattività babilonese”, e fu sempre lui a concedere agli ebrei la ricostruzione del Tempio di Salomone a Gerusalemme. Lo zoroastrismo influenzò ulteriormente la chiesa cattolica nel IV secolo d.C., quando fu condizionata da Sant’Agostino di Ippona, dottore della chiesa ed ex manicheo. Il manichesimo da lui precedentemente adottato si fondava sulla visione dualistica zoroastriana, visione che egli sottolineo con vigore quando divenne un grande teologo della chiesa romana.

Tornando alle varie sfaccettature del mitraismo, sappiamo che nell’impero romano, attorno al I e II secolo, la cultura latina fu notevolmente influenzata dai culti orientali. Nel pantheon dell’impero romano subentrerà la figura mitologica di Mitra, e da esso più tardi nascerà un filone di monoteismo solare quando si instaurerà il culto del Sol Invictus festeggiato il 25 dicembre (data in cui ricadeva il solstizio d’inverno nel calendario romano). Per la prima volta a Roma si faceva riferimento ad un unico dio per volere della dinastia imperiale dei Severi. Una credenza che per oltre un secolo dovette contendersi il titolo di religione di stato con i seguaci delle antiche dottrine pagane, e con i cristiani che alla fine vinsero lo scontro quando Teodosio I proclamò quest’ultima religione di stato nel 380 d.C.

Il dio Aton irraggia Akhenaton e Nefertari

Il dio Aton irraggia Akhenaton e Nefertari

Il mitraismo non mancò di plagiare anche le credenze dei faraoni d’Egitto. In questo paese sin dalle origini più remote il sole era associato alle grandi divinità come Horus, ma quando arrivò il mitraismo esso portò un cambiamento con la venerazione di Osiride che spinse in seguito il faraone Akhenaton a cancellare le divinità egizie per istituire un monoteismo solare attorno al 1350 a.C. Fu allora che in tutto l’Egitto venne imposto Aton (dio sole).

Questo capriccio faraonico non condizionò più di tanto la civiltà del Nilo. Infatti alla morte del re, il clero sacerdotale, fortemente inviso a questo dogma, ripristinò le divinità precedenti considerando l’atonismo un’eresia.

Culto in voga per così pochi anni, forse non ne avremmo mai parlato, non fosse che le sue tracce sono direttamente ascendenti alle tre grandi religioni monoteistiche nel nostro tempo. In realtà pur non convincendo gli egizi, questo culto fu preso con particolare attenzione dagli ebrei che risiedevano e lavoravano nel regno.

Ora, sappiamo tutti come la religione narra l’Esodo e la storia di Mosè, quello che però l’archeologia insegna è che non risulta esservi mai stata alcuna fuga di schiavi dall’Egitto. Quello che è vero, è che nei secoli in cui sarebbero avvenuti i fatti, in Egitto era presente una popolazione che gli egizi chiamarono Hyksos. Sarebbe stato un popolo migrato dalle terre oltre la penisola del Sinai, e si sarebbe stabilito in Egitto mantenendo una propria identità. Nello stesso periodo si registrano in Egitto alcuni cataclismi, assimilabili a quelle che potrebbero essere le piaghe d’Egitto descritte nell’Esodo, ma comunque avvenute in tempi distanti fra loro e non tutte contemporaneamente. Alcuni hyksos scalarono la società egizia ricoprendo ruoli sempre più importanti e costruendo città indipendenti, fino a divenire faraoni essi stessi. Una convivenza difficile con alterne fasi politiche in un periodo di tempo piuttosto lungo che comprese un periodo di ben 4 dinastie egizie. La storia archeologica narra che gli hyksos non fuggirono dall’Egitto, furono cacciati.

Pensando alla loro migrazione in Egitto viene quasi da pensare alla storia di Giuseppe, ebreo divenuto vicere d’Egitto, suo padre Giacobbe è spesso chiamato “Israele”, come a personificare un intero popolo. Egli arriva in Egitto e chiama suo padre Israele e i suoi 12 fratelli a seguirlo (12 come le tribù d’Israele, come i segni dello zodiaco, come i discepoli di Zarathustra e come gli apostoli di Gesù), questi anche a causa delle siccità e dei periodo difficili nella terra di Canaan decisero di raggiungerlo.

YsrirSe osserviamo che nella Genesi tra i nomi degli dei di Canaan figurano El-Shaddai, Elhoim e Adonai, il richiamo vocale ad Aton con quest’ultimo è forte. Nelle antiche tradizioni ebraiche, quando nei testi si trovava il nome YHWH (Yavè) il lettore non potendolo pronunciare lo leggeva “Adonai”. Aggiungiamo che nella stele di Merneptah del 1208 a.C. circa, fu riportata una vittoria militare degli egizi contro una popolazione cananea definita Ysrir (secondo molti studiosi significa Israele). Nella porzione di testo qui sopra si nota che la parola Ysrir non è sormontata dall’immagine di montagne e fiumi come solitamente indicavano i geroglifici per simboleggiare che la parola in questione rappresentava uno stato, ma è sormontata da un uomo e una donna, come ad indicare un popolo nomade. Il testo della stelle nelle ultime righe afferma: «Canaan è privato di ogni sua malvagità; Ashqelon è deportato; ci si è impadroniti di Ghezer; Yanoam è come se non fosse più; Israele è annientato e non ha più seme».

La damnatio memoriae che colpì l'immagine di Nefertari

La damnatio memoriae che colpì l’immagine di Nefertari

Forse questo episodio militare fa parte della vendetta del clero egiziano che dopo aver scacciato gli hyksos, tenta di estirpare gli “atonisti” e cancellare ogni traccia del loro faraone Akhenaton, condannandolo alla damnatio memoriae (pratica riservata alla cancellazione dei simboli di un periodo istituzionale che non si vuole ricordare, vedi in ultimo caso il fascismo in Italia e il nazismo in Germania). Molte raffigurazioni di Akhenaton furono colpite a scalpellate, e molti documenti recanti il suo nome furono cancellati. Quella dell’Esodo non fu una rivoluzione di schiavi, ma una battaglia religiosa dove probabilmente alle povere popolazioni semite che abitavano la valle del Nilo fu imposto il culto del faraone per contrastare il potere sacerdotale.

Se non bastasse quanto già detto per comprendere l’influenza di questa storia nelle tre religioni del mondo indoeuropeo attuale, v’invito ad ammirare il fascino del “Libro dei Morti” apparso molto probabilmente attorno allo stesso periodo (cioè nel Medio Regno). In esso si narra il viaggio del dio sole nell’oltretomba e balza all’occhio uno dei racconti in cui, di fronte al giudizio del dio, un defunto afferma: «Io non ho rubato»; «Io non ho ucciso»; «Io non ho detto bugie»; frasi che in seguito per ebrei e cristiani sono diventate “non rubare”, “non uccidere”, “non dire falsa testimonianza”.

ASPETTI PERSONALI

Potremmo aprire ulteriori discussioni che si riallacciano a questo affascinantissimo tema così ancestrale. Potrei narrarvi della storia di un bambino, figlio di una sacerdotessa, abbandonato alle acque di un fiume dentro una cesta e divenuto principe e re. Non parlo di Romolo, e nemmeno di Mosè, ma di Sargon di Akkad la cui storia fu scritta quasi 4300 anni fa. Mi diletterei a raccontarvi la storia di Atrahasis, scritta circa 3900 anni fa, a cui una dea annunciò l’arrivo di un diluvio universale e gli consigliò di costruire un arca, di renderla impermeabile con del bitume e di farvi salire una coppia per ogni essere vivente. Storie babilonesi a cui devono aver attinto i cananei durante il periodo della loro deportazione, storie a cui lascio spazio per le vostre ricerche e la vostra curiosità.

Potrebbe sembrare ch’io abbia voluto scrivere questo saggetto per screditare la religione ed esaltare l’ateismo ma non è affatto così. Sono credente e queste conoscenze non mi hanno fatto dubitare in Dio, ma nella capacità degli uomini di saperlo ascoltare. Dio parla alla coscienza dell’uomo, e parla nella misura in cui noi possiamo comprendere quello che i cristiani chiamano Logos, il Verbo. Questo testo serve a capire che nei secoli l’umanità ha sempre cercato Dio, e spesso lo ha circondato di orpelli e di personificazioni. La coscienza parla agli uomini ed essi conformano l’etica alle proprie tradizioni, qui nascono le differenze tra le religioni. Perciò Gesù fu adattato al Sol Invictus e la Kaaba presente a La Mecca da sede della divinità maschile Hubal divenì il monumento sacro più importante del monoteismo islamico.

A volte il messaggio forte è quello più semplice, ma per esser creduto gli uomini lo ammantano di sensazionalismo. Perciò Mosè aprì le acque e Gesù resuscitava i morti e guariva i lebbrosi. Se avessero realmente fatto questo, i numerosissimi storici ad essi contemporanei ci avrebbero tramandato almeno gli eventi più significativi, invece buona parte delle fonti extrabibliche sono posteriori. Perché non si vuole credere che l’unico messaggio che annunciò il Cristo è l’amore, non avrebbe portato da nessuna parte sapere che l’unica cura che fece era quella dell’anima. Perciò, come accade per ogni personaggio straordinario, l’uomo circondò queste figure di miracoli straordinari che in fondo, sono inutili. Quale forza dà al messaggio divino sapere che Dio può oscurare il sole, ma non può esaurire le guerre? Dà più speranza sapere che Gesù guariva i lebbrosi, o sapere che ci ha dato una via per guarire le nostre colpe?

Cerchiamo di riconoscere nelle tradizioni il vero messaggio, quello che cambia l’uomo nei secoli, quello che porta armonia e pace, verità e amore, il resto tramonterà nella storia insieme alle nostre civiltà.

Alberto Fossadri

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