La vera trovata di Archimede

L’aneddoto di Archimede che esce nudo dai bagni pubblici di Siracusa e corre a casa gridando “Eureka! Eureka!” è tra le poche cose della scienza note anche ai profani. La versione che abbiamo appreso a scuola, e che risale allo scrittore romano Vitruvio (che visse 200 anni dopo Archimede), non ha però mai convinto gli scienziati. Secondo questa versione Gerone II, tiranno di Siracusa, sospettava che la corona d’oro che aveva commissionato a un orafo della città fosse stata adulterata con l’argento per poter lucrare sull’oro sottratto. Chiese perciò ad Archimede di accertare, senza rifondere la corona, se fosse di oro puro o in lega d’argento.
Il problema trovò la soluzione quando Archimede osservò che, mentre si immergeva nella vasca, l’acqua strabordava. Il suo ragionamento fu: l’acqua che esce dalla vasca corrisponde al volume della parte immersa del mio corpo; per misurare il volume della corona basterà allora immergerla in una bacinella e misurare l’acqua che straborda; se il volume della corona risulterà superiore rispetto al cubo d’oro che Gerone ha dato all’orafo, perchè farà strabordare più acqua, potrò concludere che essa è un misto di oro e argento perchè l’argento è meno denso dell’oro e quindi a parità di peso occupa un volume maggiore.

Troppo facile. Sembra un ragionamento lineare ed elementare. Ma allora cos’è che secondo gli studiosi non va? A partire da Galilei, che fu il primo a storcere il naso, la risposta è stata: è tanto elementare da essere banale; e poi è inapplicabile perchè impreciso. Secondo Galilei, ma anche secondo Reviel Netz e William Noel, autori del best-seller Il codice perduto di Archimede (Bur), è offensivo pensare che un genio come Archimede sia corso nudo per le vie di Siracusa solo per aver scoperto che quando entriamo nella vasca da bagno l’acqua sale. Oltretutto questa soluzione, nel caso concreto, era inapplicabile.
Infatti le corone delle quali abbiamo testimonianza archeologica non pesano mai più di 1 kg, e in tal caso la differenza del volume d’acqua (dell’ordine dei cl) sarebbe stata difficilmente rilevabile.

Svarione. Ma allora quella raccontata da Vitruvio è solo una leggenda? Sembrerebbe di no. Semplicemente, Vitruvio aveva informazioni parziali o le aveva interpretate a suo modo. Se così è, come fece Archimede a risolvere il problema di Gerone? La risposta più plausibile è che avesse usato una bilancia, come spiegava un poemetto scritto dal grammatico Prisciano 500 anni dopo Vitruvio e come sostenne anche Galilei. Archimede prese, poniamo, una libbra (circa 327 g) d’oro e una d’argento e le pose sui piatti di una bilancia. L’immerse poi nell’acqua (e così facendo inventò la bilancia idrostatica) e vide che per ristabilire l’equilibrio tra i piatti doveva aggiungere all’argento 3 dramme (circa 12 g). Ne concluse che, nell’acqua, una libbra e 3 dramme d’argento corrispondono a una libbra d’oro.
Pesò quindi la corona – mettiamo che fosse di 3 libbre (quasi 1 kg) – e mise sull’altro piatto della bilancia 3 libbre d’argento, immergendo tutto nell’acqua. Se la corona fosse stata interamente d’oro, ci si sarebbero volute 9 dramme d’argento (36 g) per ristabilire l’equilibrio.

Principio. Il motivo per cui questa appare la ricostruzione più plausibile è non solo che si tratta di un metodo più preciso, ma soprattutto il fatto che è basato sul “principio di Archimede”.E’ questo che il matematico siracusano avrebbe scoperto immergendosi nel bagno: sentendosi più leggero capì che il suo corpo riceveva una spinta verso l’alto e che, in generale, se un corpo è immerso in un fluido riceve una spinta pari al peso del volume del fluido spostato.
Si tratta del principio fondamentale dell’idrostatica. Questo sì – hanno concluso Noel e Netz – è «qualcosa per cui vale veramente la pena di gridare Eureka!»

Fonte: Focus Storia n.72

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